mercoledì 1 settembre 2021

NON È QUESTO CHE SOGNAVO DA BAMBINA, SARA CANFAILLA E JOLANDA DI VIRGILIO. Blogtour.

 


TITOLO: Non è questo che sognavo da bambina
AUTORE: Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio
EDITORE: Garzanti
PAGINE: 236
PUBBLICAZIONE: 26 agosto 2021
GENERE: Narrativa
PREZZO: € 9,99 ebook; € 16,90 cartaceo 

Neolaureata. Coinquilina. Fuorisede. Precaria. Se dovesse descriversi, Ida lo farebbe così. E da oggi aggiungerebbe alla lista: stagista. Stagista in una grande-e-importante-agenzia-di-comunicazione. Non è quello che sognava da bambina, ma dopotutto non è la prima volta che le cose non vanno nella direzione sperata. Avrebbe voluto vivere ovunque tranne che a Milano, e vive a Milano. Voleva una relazione stabile, ed è stata lasciata. Ha studiato per diventare sceneggiatrice, e invece fa la social media manager. Ogni mattina si trascina in ufficio e, tra meeting, brainstorming e tante altre parole che finiscono in -ing, ci resta fino a sera, impegnata in un lavoro che non riesce a capire che lavoro sia, circondata da colleghi che sono simpatici e brillanti, sì, ma solo tra di loro. Fino al giorno in cui, stanca di una vita che troppo spesso si riduce a essere un pendolo che oscilla tra un file Excel e la prossima sbronza, Ida capisce che, per sopravvivere, deve adattarsi, assomigliare di più a loro – i suoi colleghi, il suo capo – e meno a sé stessa. E mentre le ambizioni cambiano e il confine tra giusto e sbagliato si fa inconsistente, rincorrerei suoi sogni diventa un capriccio che non può più concedersi. È ora di crescere: ridimensionare le aspettative e accettare i compromessi. Così, quando le arriva la notizia di un concorso a cui candidare il suo cortometraggio, Ida non sa che fare. Quasi non ricorda più chi volesse diventare da bambina. Ma non si può mai mentire del tutto a sé stessi. Almeno, non a quello che c’è in fondo alla propria anima.

Nel loro esordio, Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio raccontano con leggerezza e autenticità che cosa significa diventare adulti oggi. I fallimenti, le paure e le ambiguità di un momento di passaggio obbligatorio e doloroso, in cui i punti di riferimento crollano e bisogna costruirne di nuovi. L’unica cosa che rimane è un sogno. Un sogno che, anche quando resta chiuso in un cassetto, continua a parlarci. Ed è proprio sapere che è lì che ci fa sentire vivi.

Un lavoro. Forse è questo che significa diventare adulti. Ti siedi qui, lo accetti. Non farai quello che avresti voluto fare, non sarai quello che avresti voluto essere. Ma sarai qualcuno.
Tanto temuto quanto desiderato, l'ingresso nel mondo del lavoro è forse il passo che più identifica il passaggio alla vita adulta. Dovrebbe significare assumersi delle responsabilità, diventare autonomi e per molti potrebbe coincidere con la realizzazione dei nostri sogni.
Ma per quanti di noi, il lavoro significa realmente tutte queste cose?
I nostri tempi sono ormai segnati da un'adolescenza sempre più prolungata, sostenuta da una generale precarietà lavorativa che si traduce in una precarietà di vita e delle relazioni.
A scrivere è una persona che questa precarietà l'ha vissuta e la vive tuttora. Non so se ci ho fatto i conti, ma sono venuta a patti con i miei sogni. Nel corso degli anni ho inseguito un sogno, studiato duramente e lungamente, viaggiato per perfezionarmi, fatto tanti tirocini e poi quando sono arrivati i primi incarichi retribuiti, mi era sembrato di poter respirare con soddisfazione.
Alla lunga la realtà si è rivelata ben differente. Gli incarichi erano sempre temporanei, per una paga decente dovevo fare più lavori contemporaneamente e poi, per continuare ad inseguire il mio sogno, sono dovuta andare avanti come libera professionista.
Poi, un giorno, mi sono svegliata con la sensazione di volere di più, di non aver costruito nulla di solido e se volevo farlo dovevo scendere a compromessi. Così ho accantonato parte del mio sogno per fare ciò che inizialmente non volevo fare, mantenendomi nella stessa sfera onirica.
Eppure sono ancora precaria, e in questi tempi difficili, la cosa che più mi rende triste è la consapevolezza di ritenermi una fortunata nonostante tutto.
Non è questo che sognavo di Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio ha smosso in me qualcosa, una marea di ricordi, alcuni lieti, altri amari.
Tutti siamo stati Ida e nelle sue vicissitudini da stagista, coinquilina, precaria, ognuno può trovare una parte di sè.
Mi sono rivista nel mio vecchio appartamento condiviso con altre sei ragazze, con tutti i problemi che comporta convivere e trovare un equilibrio con tante personalità. Per non parlare poi del vino a buon mercato, delle serate alcoliche con le amiche, delle pene d'amore, dei soldi che non bastano mai, di quel senso di inadeguatezza e fallimento che a volte ti assale quando fai il bilancio della tua vita.
Nonostante io faccia un lavoro lontano da quello di Ida, le sue esperienze mi sono familiari, oserei dire che per noi cosiddetti "millennial" sono diventate universali.

Quanti bocconi amari mandati giù per paura di perdere una piccola opportunità, annuendo con il sorriso tirato ad atteggiamenti passivo-aggressivi, quando vorresti gridare e scappare.

Forse ha ragione Ida quando scrive alla sua amica Gio che "l’adolescenza è una malattia da cui non si guarisce".
Sono andata via di casa per frequentare l'Università appena diciottenne, e ora che ne ho quasi quaranta non mi sento meno adolescente, solo più consapevole e disincantata.
Il sogno non è trovare il lavoro che ti piace, ma trovare un lavoro dove ti paghino a sufficienza per poterti permettere la carta igienica quattro veli.

Dobbiamo arrenderci a questa idea? Forse io l'ho fatto e la cosa ancora mi brucia e col tempo imparerò a conviverci.

Quello di Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio è un esordio brillante che dimostra tutta l'abilità di chi con le prole ci sa fare. Parole che scrutano dentro l'anima di chiunque si appresti ad entrare in questo vorticoso mondo del lavoro, oppure cerca di navigarvi dentro, spesso annaspando.
La scrittura a quattro mani è fluida ed equilibrata e le due voci si amalgamano alla perfezione.
Una lettura che ho divorato e che consiglio a tutti, perché leggere di Ida è come guadarsi allo specchio, intravedendo un po' d'anima che viene fuori.



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