TITOLO: Centoventisei
AUTORE: Ezio Abbate-Claudio Fava
EDITORE: Mondadori
PAGINE: 132
PUBBLICAZIONE: 27 giugno 2022
GENERE: Narrativa
PREZZO: € 9,99 ebook; 17,50 cartaceo
Un vecchio killer in disarmo, una sospettosissima moglie al nono mese di gravidanza, un balordo che vuole farsi mafioso. Accade tutto in una notte d'estate palermitana, con l'aria ferma e la città svuotata. Attorno al furto di una centoventisei si accende un crescendo di presentimenti, equivoci, rivelazioni, fughe. Sullo sfondo, l'ombra densa e a tratti grottesca di Cosa Nostra e dei suoi progetti di morte. Finché la notte si spegne in un'alba limpida e imprevedibile. Claudio Fava ed Ezio Abbate scrivono un racconto di fulminante efficacia in cui, senza mai citarla, alludono ai preparativi della strage di via D'Amelio del '92. Prendono distanza dalla cronaca degli eventi, ma mettono in scena tre personaggi nella cui vita e nella cui personalità vediamo il mondo di chi è nato sotto la mafia ed è abituato a ragionare e ad agire secondo lo schema "ubbidisco o muoio, uccido o vengo ucciso".
Ma quale disgrazia, figurati... A Palermo disgrazie non ne succedono. Succedono cose, che è un’altra storia.
Dal sodalizio letterario di Claudio Fava e Ezio Abbate il racconto spietato e lucidissimo di una Palermo che si prepara a uno dei giorni che ne cambieranno per sempre la storia. Centoventisei allude alla strage di via D'Amelio, l'attentato che il il 19 luglio 1992 costò la vita la giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta.
Senza mai citarla dichiaratamente, gli autori immaginano la folle notte che porterà alla sistemazione della famosa auto che carica di esplosivo spazzerà via in pochi attimi la vita di persone che avevano dedicato la propria esistenza alla lotta contro la mafia.
Disegni caricaturali, ma molto realistici, di personaggi che raccontano di una cultura, di un fare, tipicamente mafioso, ancora purtroppo radicato in questa città piena di bellezza e contraddizioni.
C'è Gasparo, killer di Totuccio Graziano, che tutti chiamano Domineddio. Una passione per Sinatra e una vita passata a fare la gavetta nella malavita, dalla riscossione del pizzo, alle corse clandestine dove ogni cavallo perdente era un cavallo da abbattere. Sarà proprio la sua freddezza nel porre fine alla vita degli animali a fargli guadagnare la fama di spietato killer ed entrare nelle grazie di Totuccio Graziano. Gasparo è un uomo senza morale, che considera il suo un lavoro come un altro e quasi quasi si trovava più in difficoltà quando doveva uccidere cavalli che adesso.
C'è la moglie di Gasparo, Cosima, quasi al nono mese di gravidanza, che fa finta di non sapere di essere sposata ad un mafioso. Il suo è un atteggiamento che ho ritrovato in molte donne che si affiancano a uomini mafiosi o che fanno parte della malavita. Una massiccia opera di negazione, affiancata ad una religiosità spinta, sostenuta più da superstizione che da fede cristiana.
Infine c'è Fifetto, giovane spiantato col sogno di diventare un pezzo grosso all'interno del clan e non crede nella fortuna di essere stato coinvolto nel furto di un'auto, ad affiancare colui che ritiene un mito, Gasparo, il Monte Pellegrino dei killer.
Le vite dei tre si incroceranno in una serie di rocamboleschi eventi, in una tipica notte palermitana quando la calura non lascia tregua, le strade sono lasciate deserte dalla gente che si sposta verso il mare in cerca di frescura e gli odori portati dallo scirocco solleticano i sensi. Una calma apparente che solo chi percorre quelle strade, nel pieno di una notte afosa, riesce a cogliere nelle sue opposizioni.
Apposta glielo dicevo. Per farlo arraggiare. E perché ero arraggiata con me, che non trovavo la forza di dirglielo: sai che c’è, Gasparo, c’è che adesso questo anello te lo riprendi, lo riporti indietro e ti fai restituire i soldi perché io non ti sposo. Non me lo sposo uno che esce di casa e non lo so se mi torna indietro vivo. Non me lo sposo uno che tiene due fucili e tre pistole inficcate nei cassetti del comò e dell’armadio. Non me lo sposo uno che s’è fatto convinto che mi può contare minchiate, che tanto mi passa tutto perché mi mette la testa sulle minne e mi dice accarezzami, e io mi squaglio e fermerei la vita, il mondo, il tempo per restare per sempre ad accarezzargli i capelli, lui che chiude gli occhi e io che lo pettino con le dita e intanto penso che quello è l’unico momento in cui Gasparo è davvero mio, è solo mio, mio e basta, come un pupiddu, come uno che si è arreso, rassegnato, che non cerca più di contarmi fissarie.
Una storia dai tragici risvolti, inserita in una cornice grottesca, paradossale, ineluttabile. Non si può cambiare percorso una volta che si è imboccata una certa strada, o muori o uccidi. Talune volte sei tu ad uccidere, mentre altre volte tocca a te, in un cerchio che invece di chiudersi si ripropone costantemente.
Centoventisei è un racconto che si legge in breve tempo, scritto con uno stile tagliente e dissacrate. Ezio Abbate e Claudio Fava danno un taglio cinematografico con scene nette, rapide, incisive. Quello che ne viene fuori è il perfetto ritratto di una cultura tipica, di una città che è abitata da personaggi limite che seguono un proprio codice morale e obbediscono a leggi che insegnano che ci sono due lati di una barricata, uccidi o vieni ucciso, e per lanciare certi segnali, un morto non basta.
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