TITOLO: Heimaey
AUTORE: Ian Manook
EDITORE: Fazi collana Darkside
PAGINE: 454
PUBBLICAZIONE: 10 ottobre 2019
GENERE: Thriller
Kornelíus, un poliziotto islandese possente come un troll, che canta musica folkloristica in un coro di donne, trova un cadavere in una solfatara, spellato dal ventre in giù. Mentre cerca una spiegazione per quel delitto associato a uno strano rituale, è anche alle prese con la mafia lituana, a cui deve dei soldi; per estinguere il suo debito, s’impegna a ritrovare due chili di cocaina rubati da un mozzo durante una transazione in mare. Negli stessi giorni, giunge in Islanda il giornalista Jacques Soulniz: quarant’anni dopo aver visitato l’isola con un gruppo di amici, vi fa ritorno con la figlia Rebecca, la sua ribelle Beckie, con la quale cerca di riallacciare un rapporto compromesso. Sin dalle prime tappe, però, il loro soggiorno prende una piega inaspettata: l’uomo è inseguito dalle ombre del suo passato e sembra avere un conto in sospeso con quelle terre misteriose, che hanno in serbo per lui un’implacabile vendetta. Le strade di Kornelíus e Soulniz si incroceranno in un gioco crudele orchestrato dal destino.
Dopo le steppe mongole della trilogia di Yeruldelgger, Ian Manook ci accompagna in Islanda, fra ghiacciai, vulcani, antiche leggende, scogliere impervie a picco sul mare: un paese di una bellezza abbagliante, modellato dalla collera millenaria dell’oceano. Un’Islanda arcana e luminosa, in cui dietro ai paesaggi immacolati si celano traffici illeciti di ogni sorta. Un thriller dal ritmo serrato, con personaggi indimenticabili e un’ambientazione unica: Ian Manook è tornato e non deluderà i suoi molti fan.
Non conoscevo la maestria di Ian Manook e devo dire che mi sono buttata a capofitto in questa lettura perchè nutro un certo fascino per i thriller nordici. Con mio sommo stupore mi sono trovata tra le mani un testo che travalica le leggi del genere, facendo un viaggio che mi ha portato sulle tracce di un mistero da risolvere, tra le fantastiche immagini di una terra sospesa tra leggende e folk popolare, come se il grande freddo avesse fermato il tempo, l'Islanda.
Il giornalista Jacques Soulnitz decide di fare ritorno in Islanda, luogo dove quarant'anni fa è stato in viaggio con amici. Una sorta di secondo viaggio che ripercorre la sua giovinezza che ora ha il significato di un rito, accompagnato dalla figlia Beckie con la quale ha un pessimo rapporto. L'uomo spera in questo modo di recuperare l'irrecuperabile e rinsaldare un legame che sembra oramai perduto, in seguito alla morte della moglie.
Soulnitz ha però un passato che lo perseguita e reclama vendetta nel modo più crudele e il suo viaggio si dimostrerà presto un incubo.
«Lui è convinto che è tutto dimenticato. Che tutti noi ci siamo dispersi nel mondo, ognuno con la propria piccola vita, o che abbiamo chiuso gli occhi. Ma non tutti quelli che hanno gli occhi chiusi dormono e lui se ne accorgerà. Conoscerà il
furore del nostro risveglio. Soffrirà come abbiamo sofferto noi».
Manook ci presenta poi un'altra figura, che ha rapito la mia attenzione. Le strade del giornalista, infatti, si incrociano con un personaggio che sembra emergere da una fiaba nordica: l'ispettore Kornelíus, una gigante di un metro e novantacinque a metà tra un troll e un vichingo, che canta un'inquietante litania della tradizione folkloristica medioevale del luogo, mentre osserva un macabro ritrovamento. Il poliziotto si accorge che il crimine di cui si sta occupando ha dei riferimenti alle leggende del luogo, in particolare alla maledizione dei nábrók, secondo la quale se viene scorticata la parte inferiore di un uomo per farne pantaloni di pelle (i necropant) ci si può appropriare della sua forza, inoltre se ci s’infila una moneta tra lo scroto e i pantaloni di pelle, si può carpire anche la sua ricchezza. Il cadavere ritrovato nella solfatara, orrendamente scuoiato, presenta troppe similitudini perchè Kornelìus li ignori. Un'indagine difficoltosa complicata anche dal fatto che Kornelìus è implicato anche nella ricerca di un carico di droga andato perduto, per conto della mafia lituana con cui ha contratto un debito.
Una trama intricata, piena di lati oscuri e magistralmente orchestrata che vale la pena scoprire pagina dopo pagina.
Una trama intricata, piena di lati oscuri e magistralmente orchestrata che vale la pena scoprire pagina dopo pagina.
Ian Manook costruisce non solo un ottimo thriller, ma un'opera che è un vero inno all'Islanda, una terra piena di fascinazioni, suggestiva nella sua asprezza selvaggia, che l'autore con il suo stile tagliente restituisce al lettore piena di ipnotica potenza.
Impossibile rimanere immuni alle ambientazioni e alle descrizioni fatte da Manook, tanto che ho sentito l'esigenza di andare a cercare i luoghi descritti. Si respira aria di leggenda, un misticismo reverenziale che non manca di influenzare storia e personaggi.
In un progressivo crescendo di azione e tensione, tra raffinate descrizioni e implicazioni con la mafia lituana, assistiamo al percorso di un'indagine che si immerge nelle profondità delle tradizioni di un popolo che vive in un posto che a prima vista sembra impossibile da abitare. Distinguere quello che è un rituale leggendario da ciò che potrebbe essere l'atto di un semplice psicopatico diviene difficile e mi sono posta molti interrogativi col procedere della lettura.
Kornelíus canticchia il krummavísur e osserva quella che potrebbe essere la scena di un crimine. Si dice che esistano di sicuro tanti modi di morire nel fetore di una solfatara. I seni nasali corrosi dall’acido solforico, per esempio. Le meningi e le mucose liquefatte dai vapori di mercurio a cinquecento gradi. L’interno degli occhi abraso dal biossido di zolfo. Oppure la gola e i polmoni impeciati di silice in fusione. E il biossido di carbonio non serve soltanto a spingere fuori la schiuma della birra alla spina...
I personaggi sono tutti intriganti e corposi, nessuno completamente positivo, nessuno realmente negativo. Soprattutto ho adorato la figura di Kornelìus, un gigante che canta musica folkloristica in un coro di donne, una personalità complessa e sfaccettata. Lo si sente intonare il krummavísu, il lamento del corvo, un canto lugubre, come si intona un motivetto per raccogliere le idee davanti a qualcosa che richiama la nostra attenzione.
Un racconto dall'andatura sincopata, con capitoli non troppo lunghi che fanno il modo di mantenere serrato il ritmo anche quando ci si perde tra le attente descrizioni crepuscolari di una terra misteriosa.
Ricco di dettagli culturali, etnici e naturalistici, con Heimaey si ha l'impressione di fare un vero e proprio viaggio. Un territorio vulcanico, solforoso, sferzato da venti gelidi e onde potenti che si infrangono su scogliere impervie e inospitali.
Una lettura mai banale, trascinante. Un thriller dai toni tipicamente nordici, pieno di azione e dialoghi interessanti, capace di affrontare descrizioni di luoghi dell'interiorità e dell'esteriorità. Ho fatto davvero un'ottima scelta.
Un racconto dall'andatura sincopata, con capitoli non troppo lunghi che fanno il modo di mantenere serrato il ritmo anche quando ci si perde tra le attente descrizioni crepuscolari di una terra misteriosa.
Ricco di dettagli culturali, etnici e naturalistici, con Heimaey si ha l'impressione di fare un vero e proprio viaggio. Un territorio vulcanico, solforoso, sferzato da venti gelidi e onde potenti che si infrangono su scogliere impervie e inospitali.
Una lettura mai banale, trascinante. Un thriller dai toni tipicamente nordici, pieno di azione e dialoghi interessanti, capace di affrontare descrizioni di luoghi dell'interiorità e dell'esteriorità. Ho fatto davvero un'ottima scelta.
copia fornita da Fazi
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