Svelate la cover e la trama di Non Tradirmi, nono romanzo della serie dark contemporanea Blood Bonds di Chiara Cilli! Il libro è in fase di stesura, ma noi possiamo già dare una sbirciatina al primo capitolo, dove in scena abbiamo la tenace campionessa Ekaterina Kuznetsov ♥ Scorrete il post per leggerlo!
Titolo: Non Tradirmi
Serie: Blood Bonds Vol. 9
Genere: Dark Contemporaneo
Cover by: Regina Wamba
Avevo la libertà a portata di mano, e me la sono lasciata sfuggire.
È riuscita a scappare da un orrore che non si sarebbe mai aspettata, ma a caro prezzo.
Ora sono alla deriva.
Ora è sola.
E solo Katerina può aiutarmi.
E porterà a termine la missione.
Devo riaverla.
A qualunque costo.
Non importa quanto i miei fratelli mi supplichino di non farlo.
Non importa quanto la piccola rossa la implori di schierarsi contro la Regina.
Avrò la sua vita.
Avrà la sua vendetta.
Questo romanzo contiene situazioni inquietanti, scene violente e macabre e omicidi. Non adatto a persone suscettibili ai temi trattati. Se ne raccomanda la lettura a un pubblico adulto e consapevole.
LEGGI IL PRIMO CAPITOLO DEL ROMANZO
Il testo non è ancora stato soggetto a editing e potrebbe subire delle variazioni.
Nadyia Volkov giaceva incosciente ai suoi piedi. I suoi piedi imbrattati di sangue, dannazione. Osservando le assi del pavimento, la campionessa della Regina si rese conto di aver lasciato una scia di impronte più o meno nette, dall’atrio all’infermeria.
Quel pezzo di merda, vedendole quando e se fosse riemerso dalle segrete, si sarebbe domandato come facesse lei a conoscere l’esistenza di un’infermeria e la sua ubicazione nel maniero – e, se fosse stato lucido, avrebbe fatto due più due. O magari avrebbe semplicemente creduto che, essendo già stata in palestra con lui, una volta, avesse dedotto che una sorta di infermeria doveva sicuramente trovarsi nelle vicinanze.
Qualsiasi cosa avesse pensato Armand Lamaze, non importava.
Quello che importava, era la ragazza stesa a terra.
Non appena si fosse svegliata, sarebbe corsa a svelare la sua vera identità ai Lamaze.
Non poteva permetterglielo.
Non poteva lasciarla lì.
Doveva portarla via con sé, non aveva altra scelta.
La prima cosa da fare, però, era occuparsi delle telecamere occultate che la stavano riprendendo. Era certa che l’addetto alla videosorveglianza notturna stesse già tempestando il cellulare di Armand di chiamate; era questione di secondi, prima che passasse a Henri e agli uomini di guardia intorno al perimetro del castello.
Doveva agire subito.
Fece dietrofront e frugò nell’armadietto in cerca di bisturi. Rischiando, abbandonò momentaneamente la piccola rossa e tornò nel foyer; svoltò a destra per l’ala Nord e raggiunse il garage sotterraneo il più veloce possibile.
Le due compresse di analgesico che aveva ingerito stavano cominciando a fare effetto e l’adrenalina già in circolo stava aumentando le prestazioni del suo fisico martoriato. Dunque si concesse solo una frazione di secondo per trarre un bel respiro e concentrarsi al massimo, prima di fare irruzione nella saletta di comando nell’angolo a sinistra del grande garage.
L’omaccione all’interno balzò su dalla sedia girevole e vibrò un fendente con il coltello militare che aveva già estratto dal fodero sulla coscia.
Con la vista che si annebbiava a tratti, lei riuscì a deviare il colpo soltanto all’ultimo istante con una manata e in contemporanea affondò il bisturi nella carotide dell’uomo: il sangue zampillò intorno al manico argenteo come una fontanella, mentre si accasciava con un tonfo.
La fitta all’addome arrivò tempestiva e intensa come una stilettata, e la campionessa mugolò. Si premette una mano sugli squarci fasciati, il tessuto della canottiera zuppo sotto il palmo, e batté convulsamente le palpebre per combattere il capogiro che la investì.
Dopo, ignorando il lieve bruciore al bicipite, su cui era affiorata una sottile riga scarlatta, si piazzò dinanzi ai dieci monitor che sovrastavano la scrivania e li osservò. Le sentinelle esterne non davano segni di aver ricevuto l’allarme, e anche all’ultimo piano dell’ala Ovest, dov’era Henri, la situazione era tranquilla.
Non si permise neanche un nanosecondo per tirare un sospiro di sollievo.
Rapida, spense le telecamere che le interessavano e cancellò i filmati dell’ultima ora nel foyer e nel corridoio dell’infermeria, augurandosi di averli eliminati definitivamente dal drive e maledicendo di non avere Asako al suo fianco, molto più ferrata di lei con la tecnologia.
Recuperò il bisturi dalla gola dell’energumeno, uscì dalla stanzetta e andò alla bacheca con le chiavi delle auto. Senza pensare, acchiappò quelle di una delle berline blindate e sbloccò le portiere; gettò la piccola lama sul sedile del passeggero e, con il respiro sempre più irregolare, risalì al pianterreno.
Avanzò cautamente nell’atrio, ma di Lamaze neanche l’ombra. Quindi, ritornò da Nadyia. Per fortuna, era ancora svenuta. Non era nelle condizioni di caricarsela in spalla come un sacco di patate, così la afferrò per un braccio e iniziò a trascinarla.
Le sembrò di impiegare un’era, per giungere in garage; e nonostante la rossa fosse mingherlina, le parve pesasse una tonnellata, quando la sollevò per metterla sui sedili posteriori dell’auto.
Ansimante, caracollò verso la fila di tre grossi pulsanti – rosso, giallo e verde – sulla parete accanto alla bacheca e schiacciò quello verde, azionando il portone sezionale a scorrimento verticale. Dunque montò in macchina, l’accese, ingranò la marcia e sgommò fuori dal garage.
Non appena si ritrovò sul rettilineo antistante la facciata orientale del castello, delimitato dall’illuminazione esterna a luci fredde, i fanali individuarono due sentinelle in divisa nera. Non le puntarono immediatamente i fucili contro, forse disorientati nel vedere una delle macchine del loro capo lasciare l’abitazione a notte fonda.
La campionessa alzò appena il piede dal pedale, ma quando una delle guardie si portò l’indice all’auricolare – probabilmente per chiedere conferma di spostamento del signor Lamaze alla sala comando –, schiacciò l’acceleratore. Incerti sul da farsi, loro si appiattirono contro le mura dell’edificio mentre gli sfrecciava davanti.
Appena fu nel piazzale, invece, una pioggia di proiettili si abbatté sulla berlina e la fece sbandare.
«Merda!» imprecò a denti stretti, scalando le marce per riprendere il controllo della vettura e imboccare la discesa tra gli alberi.
Quella fottuta strada dissestata era totalmente immersa nel buio, che i fari fendevano come laser, rendendo visibili massi, rami e qualunque altro pericolo solo all’ultimo istante. Pregava soltanto che tutto quello sballottamento non svegliasse la futura mamma, altrimenti la situazione sarebbe diventata ancora più spiacevole.
La foresta incominciò a divenire più rada, segno che era giunta alle pendici del colle, e a un certo punto la luce del gabbiotto comparve in fondo alla via. I due soldati si erano piantati in mezzo al passaggio, il mitra e la pistola indirizzati verso di lei.
«Fermati!» le intimò uno.
«Ferma l’auto! Adesso!» ruggì l’altro.
Il fatto che non la stessero bombardando di pallottole, poteva significare solo una cosa: uno degli uomini in cima all’altura doveva averla riconosciuta come la donna che Armand Lamaze aveva accolto giusto qualche ora prima, e aveva impartito l’ordine di non spararle più.
Perfetto.
Strinse forte le dita sul volante e diede gas. Le due guardie rimasero piantate dov’erano fino all’ultimo, per poi buttarsi di lato per non essere falciate in pieno. Aiutandosi con il freno a mano, la campionessa girò a destra con una sgommata e affondò nuovamente l’acceleratore, procedendo a tavoletta verso Véres.
Diede un’occhiata allo specchietto retrovisore: nessuno la stava inseguendo. Finalmente, rilasciò un sospiro estenuato e si passò una mano sul muso viscido. Tirò su col naso e sputò dal lato del passeggero il grumo di sangue e muco che si ritrovò in bocca.
Cristo santo, non riusciva a credere a quello che era successo. Alla sconvolgente verità che aveva appreso sulla famiglia Lamaze e al raccapricciante segreto che Armand aveva custodito in tutti quegli anni.
Non riusciva a credere che Rina…
Menò un pugno sul volante, i denti digrignati per contenere un grido muto.
La luci della città si stagliavano a valle come un’elegante ragnatela, su cui il monastero svettava come una gigantesca vedova nera pronta a intrappolare e a divorare ogni cosa.
Pochi chilometri, e sarebbe stata a casa.
Tutto in lei le urlava di tornare.
Dalle sue sorelle.
Dalla sua padrona.
Eppure…
Lanciò uno sguardo alla giovane riversa sui sedili posteriori. Se l’avesse portata al monastero, Neela l’avrebbe sottoposta alle torture più macabre e oscene, per averla tradita e perché portava in grembo il figlio di André Lamaze. Infine avrebbe convocato Armand e Henri e l’avrebbe giustiziata davanti ai loro occhi.
E loro non avrebbero potuto fare nulla.
Tornò a guardare la strada, la fronte corrugata, e la pelle del volante scricchiolò
Grazie infinite! ♥
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