lunedì 22 gennaio 2018

IL TATUATORE DI AUSCHWITZ, HEATHER MORRIS. Recensione.

TITOLO:  Il tatuatore di Auschwitz
AUTORE: Heather Morris
EDITORE: Garzanti
PAGINE: 223
PUBBLICAZIONE: 18 gennaio 2018
GENERE: Contemporary Romance
PREZZO: € 17,90 cartaceo; 9,99ebook
 
Il cielo di un grigio sconosciuto incombe sulla fila di donne. Da quel momento non saranno più donne, saranno solo una sequenza inanimata di numeri tatuati sul braccio. Ad Auschwitz, è Lale a essere incaricato di quell’orrendo compito: proprio lui, un ebreo come loro. Giorno dopo giorno Lale lavora a testa bassa per non vedere un dolore così simile al suo finché una volta alza lo sguardo, per un solo istante: è allora che incrocia due occhi che in quel mondo senza colori nascondono un intero arcobaleno. Il suo nome è Gita. Un nome che Lale non potrà più dimenticare.
Perché Gita diventa la sua luce in quel buio infinito: racconta poco di lei, come se non essendoci un futuro non avesse senso nemmeno un passato, ma sono le emozioni a parlare per loro. Sono i piccoli momenti rubati a quella assurda quotidianità ad avvicinarli. Dove sono rinchiusi non c’è posto per l’amore. Dove si combatte per un pezzo di pane e per salvare la propria vita, l’amore è un sogno ormai dimenticato. Ma non per Lale e Gita, che sono pronti a tutto per nascondere e proteggere quello che hanno. E quando il destino tenta di separarli, le parole che hanno solo potuto sussurrare restano strozzate in gola. Parole che sognano un domani insieme che a loro sembra precluso. Dovranno lottare per poterle pronunciare di nuovo. Dovranno conservare la speranza per urlarle finalmente in un abbraccio. Senza più morte e dolore intorno. Solo due giovani e la loro voglia di stare insieme. Solo due giovani più forti della malvagità del mondo.
Il tatuatore di Auschwitz è il libro del 2018 e nessun editore ha potuto lasciarsi scappare una storia così intensa da far vibrare le corde più profonde dell’animo. Una storia che presto diventerà un film. Il dolore che Lale e Gita hanno conosciuto e l’amore grazie al quale lo hanno sconfitto sono un insegnamento profondo: perché restano ancora molte verità da scoprire sull’Olocausto e non bisogna mai smettere di ricordare. Un romanzo sul potere della sofferenza e sulle luci della speranza. Su una promessa di futuro quando intorno tutto è buio. 
 
 
Nella settimana della menoria, Il tatuatore di Auschwitz è stata una lettura illuminante anche se parecchio difficoltosa. Già la sinossi aveva smosso qualcosa in me, ma nulla poteva prepararmi alle sensazioni che avrei provato. È stato un lungo ed emozionante viaggio, stranziante, ma  sicuramente capace di toccare nel profondo ogni lettore.
La storia di Lale non è facile da leggere e comprendere, soprattutto perchè è la storia vera di un uomo comune che si innamora e cerca di coltivare e proteggere questo sentimento da ogni tipo di bruttura del mondo. Un amore nato tra le rovine di un'umanità distrutta. 
C'è qualcosa di diverso, che rende unica questa storia, perchè Lale, il protagonista, è il tatuatore di Auschwitz. Lui però non è un tedesco, non è un soldato delle SS, ma è un deportato; è parte di quel popolo che ha subito uno dei crimini più immondi di cui l'umanità si è macchiata. 
 
 
Ludwig "Lale" Eisenberg è un sopravvissuto, un uomo che si rende conto prestissimo che se vuole avere una piccola possibiltà di rimanere in vita deve essere condiscendente, un servo muto che non crea problemi. Grazie al suo carattere remissivo e alla sua spiccata intelligenza viene notato da Pepan, che decide di farne il proprio aiutante, facendosi affiancare nelle operazioni di marchiatura dei numeri di matricola sulle carni martoriate di quegli uomini sottratti alla loro vita e gettati in un inferno senza nome. Lale è ben visto da tutti e il suo spirito speranzoso è tenuto molto in comnsiderazione dai suoi compagni, tanto che fanno di tutto per  strapparlo alla morte e al tifo.
Passa così da semplice manovale a Tätowierer, una posizione privilegiata che darà modo a Lale di assumere uno status di semi- protezione e guadagnare preziosi giorni di vita, oltre a poter dispensare razioni di cibo ai suoi ex compagni di camerata. 
Ed è durante una delle tante giornate di intenso lavoro che Lale incrocia gli occhi di Gita, e il suo cuore sembra voler saltare fuori dal petto, un amore nato dove attorno c'è solo morte. Un corteggiamento atipico tra i campi polverosi e i vari terrificanti settori di Birkenau, che vede crescere l'unione di due anime diverse ma legate insieme da un destino comune. Il personaggio di Lale va analizzato senza pregiudizi, scevro dai sensi di colpa che per tutta la vita lo hanno logorato, per essersi reso complice di quegli uomini che hanno tentato di distruggere una parte dell'umanità, per aver inciso milioni di numeri sulla pelle, marchi che erano come condanne a morte, proprio lui che quei numeri li aveva tatuati sulle proprie braccia. Un processo di spersonalizzazione che trasfornava l'essere umano in un insignificante numero.
«Sei forte di carattere quanto lo sei fisicamente?».
Lale risponde al suo sguardo. «Sono un sopravvissuto.»
«La tua forza può essere una debolezza, date le circostanze in cui ci troviamo. Con il tuo fascino e il tuo sorriso smagliante ti caccerai nei guai.»
«Sono un sopravvissuto.»
«Be’, allora, forse posso aiutarti a sopravvivere qui dentro.»
...
«Vorresti lavorare con me?» Pepan fa uscire Lale dalla sua tetraggine. «O sei felice di fare qualunque cosa ti fanno fare adesso?»
«Faccio quello che posso, per sopravvivere.»
«Allora accetta la mia offerta.»
«Vuoi che tatui le persone?»
«Sì, qualcuno deve pur farlo.»
«Non credo che ci riuscirei. Ferire altra gente, sfigurarla... Fa male, lo sai.»
Pepan solleva la manica e mostra il suo numero. «Fa un male cane. Se non accetti il lavoro tu, se ne occuperà qualcuno con meno cuore di te, e farà ancora più male a questa gente.»
Un uomo tormentato, che per il resto della sua vita sarà roso dall'angoscia, che non riuscirà mai a cancellare l'orrore creato da ciò che ha visto e da ciò che ha fatto. Ma in una situazione del genere, chi non avrebbe approfittato di uno spiraglio di vita? Chi non avrebbe strappato un giorno in più? Me lo sono chiesta spesso, e ancora non sono riuscita a darmi una risposta.
Posso però dirvi che alla fine ho pianto. Quando Lale riesce a farcela, quando ritrova Gita, quando viene accusato di collaborazionismo e condannato ad un paio di anni di carcere.
Una vita che anche dopo la fine della guerrà continuerà ad essere piena di difficoltà, proprio per quel senso di rivalsa e la voglia di aiutatre il suo popolo e che lo costrigerà a cabiare il proprio cognome in Sokolov. 
Anche Gita, con il suo posato realismo, potrebbe risultare pessimista, ma la realtà è che ha troppa paura di sperare nel futuro, in una vita normale con quel ragazzo che la sta corteggiado, paura di sperare che quell'orrore finirà e loro saranno finalmente liberi. 
Le ultime pagine poi, sono un definitivo colpo al cuore, quelle in cui la Morris racconta dell'incontro con Lale, del lungo e accidentato percorso per guardagnarsi la sua fiducia, e di come quell'uomo spezzato abbia avuto infine la necessità di riconcilirsi con se stesso, raccontando al mondo la sua storia. Una storia vera di sopravvivenza, di amore e destino, da leggere per non dimenticare. 
 
 

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